TFR in busta paga: quali costi comporta

Da marzo 2015 a giugno 2018 si potrà richiedere di percepire il Tfr in busta paga

TFR in busta paga: quali costi comporta

Da marzo e fino al 2018 si potrà chiedere di avere il Tfr in busta paga per avere un aumento sullo stipendio e per riuscire ad affrontare questo momento di crisi in maniera più agevole. Forse si riuscirà a risparmiare qualcosina in più. E quindi, se si è dei buoni risparmiatori, potrà diventare conveniente mettere i conti deposito dei diversi istituti a confronto, per trovare il modo di far fruttare il proprio gruzzolo al meglio.

Nel momento della scelta diventa importante anche informarsi su ING Direct e sui suoi prodotti, e confrontarli con quelli di Mediolanum, IWBank e via dicendo, per essere in grado di avere accesso alle condizioni migliori. Ma cerchiamo di capire nel dettaglio cosa comporta la possibilità di vedersi retribuito il Tfr in busta paga, come previsto dalla Legge di Stabilità per il 2015.

Trattamento di fine rapporto

Il Trattamento di fine rapporto finora prevedeva di lasciare in giacenza in azienda (o nel fondo Inps in caso di imprese con più di 50 dipendenti) l’importo, in modo che, nel momento della liquidazione per il pensionamento, venisse versato in una soluzione unica.

Cosa cambia

Adesso, invece, si può decidere di portare gli accantonamenti in busta paga, riducendo quindi l’importo della futura liquidazione (o pensione complementare, visto che il cambiamento prevede anche i finanziamenti dei fondi pensione integrativi). La scelta di mettere il Tfr in busta paga è una procedura sperimentale che sarà sfruttabile da marzo 2015 fino a giugno 2018, quando verrà conclusa.

Modulo di richiesta

Il lavoratore dipendente che invia l’apposito modulo di richiesta al proprio datore di lavoro non potrà tornare indietro dopo aver operato la sua scelta. Per capire se conviene o meno farla, vediamo quali sono i costi che implica.

La tassazione

Innanzitutto bisogna tenere presente che la tassazione è sottoposta all’ordinaria Irpef, a cui vanno aggiunte le addizionali locali, e quindi il prelievo diventa maggiore di quello agevolato previsto sul regolare Tfr. Escluso per i casi in cui il reddito sia molto basso.

Addizionali regionali e comunali

Oltre a questo, bisogna valutare proprio le addizionali regionali e comunali, in quanto “l’immissione del Tfr inciderà sulle detrazioni per lavoro dipendente o familiari a carico” e su eventuali prestazioni legate all’Isee. Ma cerchiamo di fare un esempio pratico.

Un esempio pratico

Considerando un reddito lordo di 18mila euro all’anno l’aumento mensile è di 72 euro netti, che diventano 100 per un reddito lordo di 25mila euro e 125 per uno di 35mila euro annui. Si può inoltre richiedere fino al 30% del montante accumulato, con tassazione favorevole, se si è iscritti ad un fondo pensione da almeno 8 anni.

Le valutazioni del Mepof

Secondo le valutazioni fatte da Mepof, la società del Ministero dell’Economia per i fondi pensione, e dal Caf Uil, emerge che chiedere l’anticipo non conviene in nessuno dei tre casi sopra esemplificati, in quanto frutterebbe di più se lasciato in azienda o nel fondo pensione, in quanto il prelievo Irpef è di molto superiore. Per un reddito lordo annuale di 35mila euro, ad esempio, si passerebbe dal 25,3% al 38%.